CRITICA

2013

“Stefano Bicini Perugia - New York”
NEW YORK (1980-1997): Quando giunge a New York City, Stefano Bicini ha ventitrè anni e si è appena diplomato all’Accademia di Belle Arti di Perugia. La sua intenzione è di lavorare come artista e sceglie la città per lui più stimolante dal punto di vista creativo e con maggiori opportunità. Naturalmente la strada era in salita e Stefano avrà un gran da fare con l’immigration office, cercando di mantenersi con vari lavori e portando avanti una produzione ridotta di carte e tele di piccolo formato. Le opere del suo primo periodo newyorkese sono piuttosto minimaliste, con forme geometriche essenziali, tendenti al monocromo. Verso la fine degli anni ottanta la sua pittura diviene più libera e fluida, aprendosi al colore e a nuove soluzioni tecniche. Sperimenta con la cera e i pigmenti in purezza, citando il dripping di Jackson Pollock e in genere la pittura gestuale dell’action painting che era esplosa qualche decennio prima proprio a NY. Intanto mentre lavora in un ristorante del West Village, ha l’opportunità di conoscere alcune art stars che frequentavano il locale e in particolare due grandi protagonisti della vecchia guardia, Louise Nevelson e Jasper Johns che apprezzano il suo lavoro, offrendogli consigli e incoraggiamenti. All’inizio del decennio successivo ottiene due importanti riconoscimenti, divenendo artist in residence presso la Edward Albee Foundation (1990) e la Pollock - Krasner Foundation (1992). Anche l’attività espositiva si intensifica e l’artista decide di trascorrere i mesi estivi a Ellington, un piccolo villaggio Upstate New York, per dedicarsi totalmente al suo lavoro. La scelta non è casuale, perché proprio a Ellington la Nevelson aveva una casa che dopo la sua morte lasciò in eredità alla sua assistente, l’artista Diana McKawn che divenne una cara amica di Stefano. Così riuscì ad acquistare un piccolo terreno sul quale in brevissimo tempo gli Amish costruirono una struttura di legno che divenne un’affascinante casa-studio dove furono realizzate molte delle opere presenti in questa sezione della mostra. La prima metà degli anni novanta è caratterizzata da una ricerca entusiasta di effetti cromatici, di forme e segni resi sulle tele con intensità gestuale e energia istintiva. Appartengono a questa fase diverse opere di grandi dimensioni che il nuovo spazio lavorativo gli consentiva. Progressivamente sulla superficie dei lavori compaiono strati di carta increspata che esaltano e muovono i fondi preziosi, arricchiti dall’oro e dal blu lapislazzulo. Alle influenze del Novecento americano si aggiungono quelle della pittura e della scrittura giapponesi, associate alla memoria delle tavole medievali italiane, alle quali la presenza dell’oro allude. Nel 1996 ritorna dopo sedici anni in Italia per preparare due mostre alla Rocca di Umbertide e al Palazzo della Penna a Perugia. Per l’occasione realizza una serie di nuove opere nelle quali il blu e l’oro dominano la gamma cromatica e prevale una forma distintiva, come una voluta, che si avvolge sinuosamente sul fondo intriso di colore denso e vibrante. Non molto tempo dopo il suo rientro a NY, Stefano viene colpito da una grave malattia che lo rende parzialmente invalido, costringendolo a rientrare in Italia.

PERUGIA (1998-2003): Durante i suoi ultimi anni di attività e di vita, Stefano è a Villa Pitignano, vicino Perugia, suo luogo di origine, dove la madre si prende cura di lui mentre cerca di riprendere, non senza sforzo, il suo lavoro artistico. Le precarie condizioni fisiche gli consentono soltanto tele di piccolo formato e interventi che non prevedano una marcata gestualità. Così il suo linguaggio espressivo si distende e si alleggerisce. All’intensità e al vigore della fase precedente subentra una delicatezza rarefatta che a volte si tinge di stupore infantile. La presenza delle carte viene incrementata per creare una nitida geometria sulla tela. Compaiono ideogrammi giapponesi e collage, grafismi che evocano sagome floreali, aquiloni o vaghi frammenti di immagini. Stefano, vincendo le difficoltà del suo stato di salute, viaggia ripetutamente in Italia e in Europa, per curarsi e per far conoscere il suo lavoro. Un progetto importante è la realizzazione di alcune serie di grafiche allo Studio Calcografico Urbino di Pescara. Il 2003 è un anno significativo che vede tre mostre personali, una a Amsterdam e due a Vienna. Fu proprio a Vienna, poche ore dopo il vernissage della mostra The thin red line all’Istituto Italiano di Cultura che Stefano si spense improvvisamente all’età di quarantasei anni.

Esposizione “Stefano Bicini – Perugia New York” 14-23 Giugno 2013, Perugia Marinella Caputo

2011

“…Agli inizi degli anni novanta la sua pittura (perché Stefano, come artista è stato interamente pittore) si orienta verso una gestualità controllata che dà vita a cifre incisive, spontanee, ma anche calligrafiche, su fondi mossi e preziosi, increspati dalle pieghe della carta di riso, applicata su tela. La presenza dell’oro, della cera, dei pigmenti puri, conferisce alle superfici una rarefatta sontuosità. Ricorrono le forme sinuose, circolari che si stagliano come ideogrammi sfibrati, frammenti di una scrittura interiore…”

KITE CENTRO PER L’ARTE CONTEMPORANEA TREBISONDA 11-25 Marzo 2005 Marinella Caputo, 2011

2002

“…Ecco allora le carte divenire luoghi di una concentrazione estrema, trasformarsi da supporto in pittura e viceversa; ecco i gesti farsi crampi, pura azione concentrata in pochi centimetri; il colore rischiare l’estenuazione estrema dell’oro; l’immagine giungere sino al limite in cui si fa figura, essere luna o fiore o stella. Non rientra casualmente, in questo percorso, l’utilizzo di lettere e numeri, di titoli che evocano, a fianco dei neutri “senza titolo”: il corso della ricerca di Bicini lo ha portato ad avvicinarsi sempre di più a un alfabeto delle emozioni che si traduce in una grammatica del comporre, per via di levare prima, e d’aggiungere poi…”

The thin red line, Stefano Bicini. Quattroemme Srl, Perugia 2002 STEFANO BICINI Walter Guadagnini

“…L’arte di Bicini è ora un itinerarium mentis ad Deum, che può, ovviamente, avere il suo sbocco definitivo solo nel trascendente. Ma in questa vita, nel contingente, la sua meta più elevata è quella beatitudine che è frutto della sapienza e della saggezza. Quale fondamento si presuppone però, come in S. Agostino, il possesso - che è, allo stesso tempo, conoscenza e amore - della verità immutabile…”

ITINERARIUM MENTIS O L’ARTE DELLA MEDITAZIONE IN PITTURA Maria Sensi

“…Si condensano infatti nella ricerca di Stefano Bicini le suggestioni di tre culture: quella della sua terra natale, la sapiente pratica pittorica dei maestri rinascimentali, ai quali ha carpito i segreti della tecnica e del paziente lavoro per velature; quella dei “classici” americani, che ha avuto modo di vedere da vicino per tutti gli anni ottanta e dei quali ha invece appreso la forza del gesto, la capacità di rendere il segno espressivo ed evocativo insieme; dall’arte orientale ha infine imparato l’uso di carte preziose, la sintesi e la sofisticata partizione spaziale…”

LO ZEN O L’ARTE DI MANUTENZIONE DELLA PITTURA Caterina Zappia

2001

“…I gialli cadmio brillanti, i rossi intrisi di nero e oro, i blu plumbei impastati di nero, i verdi e le varietà di arancione occupano interamente le superfici, restituendo uno spazio mentale dove come lacrime su un volto o pioggia che riga i vetri, sgocciolature di bianco con effetto perlaceo, a causa della superficie resa idrorepellente dalla cera, disegnano traiettorie e radialità che accentuano sia il dinamismo che la valenza già perturbata di queste nuove spazialità. È la lingua muta ma assai eloquente a cui oggi Bicini affida il compito di continuare una lotta per il raggiungimento della bellezza, che, se appare come esito ambito, tuttavia a ben osservare è già presente nella tensione processuale di raggiungimento di alcune preziose “isole” vive della sua mente…”

Arrows, drawings Stefano Bicini. Quattroemme, Perugia 2001 STEFANO BICINI: L’ISOLA MENTALE DEL SEGNO Bruno Corà

“…L’opera in alcuni momenti assume un carattere taumaturgico e liberatorio. La casualità, o secondo un altro tipo di visione, il destino, ha aperto la strada a una esplorazione profonda della dimensione esistenziale, attraverso le possibilità espressive del gesto che è segno…”

IL GESTO CHE È SEGNO Marinella Caputo

1996

“…È come se il colore venisse attratto da questo vortice di energia, per condensarsi intorno a un gesto che risulta convulso e sereno allo stesso tempo. Convulso per la sua impetuosità, sereno per la sua armonia. Ed è proprio in questo scarto, in questo contrasto irrisolto tra ordine e disordine, tra armonia e disarmonia, che risiede tutta la vitalità e l’originalità della sua pittura…”

Stefano Bicini, Pitulum Project. Quattroemme, Perugia 1996 LA FIAMMA MOBILE Marinella Caputo

“…La forza dell’arte di Bicini sta nell’assenza di illusorietà. Contro il fondale mutevole e virtuale con cui si chiude il secolo si snoda la traccia fisica della sua pittura. Traccia di una vita in atto che non simula altro da sé…”

L’ICONOCLASTIA E IL SUO STILE Enrico Mascelloni